mercoledì 24 ottobre 2012

Spending review: il 10 per cento che sconvolse l'ente

Si parla di spending review. Protagonista di conversazioni, riunioni e trattative sindacali, non c'è cristiano che non citi questo orribile anglicismo come se avesse studiato alla London of School Economis and Political Science
Io che ho studiato letteratura italiana e comunicazione, invece me ne impippo e anziché tremare come una fogliolina al vento per timore di perdere la mia indennità, continuo come se niente fosse la mia vita dissipata.

Intanto nel mio ente si decidono le strategie aziendali del prossimo triennio e per risparmiare abbiamo assunto un consulente a 80mila euro più indennità di risultato con l'inequivocabile mandato di ottimizzare i costi aziendali.

Dopo un'accurata ricerca tra le pieghe del bilancio il consulente ritiene "sia opportuno tagliare tutti i capitoli di spesa del 10 per cento e anche di più".
Sinceramente colpito da questa proposta di finanza creativa davvero inusitata, il direttore generale, sempre il solito, ha fatto chiamare il consulente per prenderlo a calci nel culo di persona e farsi restituire lo stipendio in monete da due euro. La segretaria lo ha trattenuto ricordandogli che il CdA non avrebbe apprezzato simili intemperanze e perciò ha desistito ritornando su modelli di governance già collaudati.

Così ha convocato tutti i dirigenti e ha chiesto conto di tutti i capitoli di spesa, oltre mille, scrivendo su ciascuno, a mano e con la penna rossa proprio come prescritto dalla circolare Astengo, il risparmio ottenuto a seguito di minacce, ingiurie e contumelie.

Quando si è passati al mio servizio, privo di un dirigente da oltre sei anni, il direttore ha chiamato i suoi funzionari nella speranza di restringere di una taglia tutte quelle cifre.

Io con grande semplicità ho ricordato di aver già subito una riduzione del 20 per cento all'inizio dell'anno, pertanto per tagliare ulteriormente i costi - fondamentalmente del personale - occorre ritornare al più presto alla tratta degli schiavi:  il direttore ha subito apprezzato il suggerimento, ma il capo del personale gli ha ricordato che è stata abolita ufficialmente. Il direttore ha stigmatizzato la decisione quantomeno affrettata.

Una collega, invece, dopo aver concesso 5mila euro ha messo un prorprio rene all'asta. Il direttore ha ancora una volta apprezzato l'idea e ha dato mandato alla segretaria per l'organizzazione della riffa. A spegnere l'entusiasmo ci ha pensato il medico del lavoro, consultato in tutta fretta, che ha ipotizzato maggiori costi di spese mediche e un aumento dell'assenteismo della collega per i postumi dell'intervento.
"Già nel prossimo triennio?" si è informato cauto il direttore.
"Verosimilmente sì" gli è stato risposto. Non pienamente convinto ha tuttavia dovuto desistere: grande delusione tra gli astanti.

La terza collega pronta a dare battaglia, si vista invece scippare 25mila euro. Dopo un momento di smarrimento ha ricordato che per un ulteriore prelievo occorreva andare direttamente a scassinare la banca sotto casa sua. Bastavano un piccone e un operaio. Il direttore si è compiaciuto per  lo spirito collaborativo e ha chiesto i turni dei muratori. Ma il dirigente del bilancio ha frenato gli entusiasmi ricordando che le transazioni in contanti sopra i mille euro sono vietate dal decreto Salvaitalia. E come se non bastasse l'avvocatura al gran completo ha formulato un parere orale sulla liceità dell'operazione "prelievo banca" che si può prefigurare come un reato di furto con l'aggravante dello scasso... il direttore li ha ferma prima che prevedessero altre disgrazie. Per la consulenza gli avvocati ricevono 2mila euro di propine.
Il direttore sogna una piazza Sintagma per i nostri dirigenti.
Per favore non ditelo a Bondi.

martedì 23 ottobre 2012

Contrordine compagni: le bugie hanno le gambe corte

Dopo aver superato il rischio gravissimo di bruciare per sempre tra le fiamme dell'ente senza alcun valido motivo dissoluto, tranne qualche vaffa lanciato a denti stretti, ecco la risposta che mi ha mostrato la cagoria protetta dopo averla strappata a una fine orribile:

"Si informano tutti i dipendenti che al piano di evacuazione ed emergenza sono apportate le seguenti modifiche:



"Forse lo hanno scritto perchè non abbiamo preso gli stivali..."

"!?"

giovedì 18 ottobre 2012

Qualche volta le bugie hanno le gambe lunghe

L'allarme scatta mentre sto telefonando. Interrompo la comunicazione, più per il fischio che per il rispetto delle procedure, e cerco i responsabili della sicurezza. Entrambi sono fuori per il corso di aggiornamento sulla sicurezza. Logico.

Gli altri colleghi attendono alle consuete occupazioni e anche io mi dispongo a farmi rompere i timpani dalla sirena o ardere viva sulla scrivania, che è la stessa cosa. Tanto dall'ottavo piano del mio palazzo ho poche speranze di salvarmi. Vantaggi di chi lavora al top.

Così apro la posta elettronica a caccia di notizie tipo "Nessun problema stiamo provando i sistemi di sicurezza del palazzo" quando vedo arrivare il direttore generale, lui in persona, singaro in bocca e faccia seria, che intima la fuga immediata.
Orbene, se il direttore generale, uomo cosi parsimonioso che se si dimentica di stampare fronte/retro si addebita da solo la pagina bianca,  fa uscire i dipendenti in orario di servizio devo aspettarmi le  lingue di fuoco lambire il tetto.

Perciò agguanto la borsa, prendo la giacca e scappo via a gambe levate trascinandomi dietro la collega appartenete alle categorie protette che però vuole assolutamente prendere gli stivali di ricambio, prima di uscire.
"Ma dove sono gli stivali?" le chiedo nella confusione.
"Nell'armadietto" mi risponde come se fossimo al bar.
"Quale armadietto?" chiedo stupita, scoprendo per la prima volta in dieci, dico dieci anni di lavoro là dentro, che esistono degli armadietti.
"Quelli dentro lo sgabuzzino di fronte ai bagni".  Posto così remoto che ci rimani secco solo entrarci,  figurarsi respirare l'acido cianidrico prodotto dalla combustione della lana di roccia presente nell'intercapedine dei muri.
"Le chiavi sono nel secondo cassetto della mia scrivania, vado a prenderele" mi annuncia sicura.
Qui, qualcuno è fuori posto, penso tra me e me.
"Lasciali lì" le ordino risoluta, poi mi sento un verme e la rassicuro, "più tardi ritorniamo a prenderli"
"E se  bruciano?" obietta lei. Giusto. E se bruciamo noi? Temo io, ma a che serve dichiararlo.
Allora serve un avviso ci garanzia condito da una bella bugia.
"Tranquilla,  non bruceranno, perchè è un'esercitazione. Ma ci prendono i tempi da Roma dobbiamo fare in fretta"



mercoledì 17 ottobre 2012

L'utente fantasma

Lo ammetto: ho sfruttato le mie conoscenze nella sanità e sono stata punita da Utor, il dio degli utenti che ho bestemmiato infinite volte in questo blog.

La pena? Tra le più dure. Vagare senza sosta per i sottarranei dell'ospedale alla ricerca della risonanza magnetica.

Il tutto è iniziato un pomeriggio di metà settembre quando, colta da un attacco di "casalinghitudine incontines" patologia di cui soffrono prevalentemente le lavoratrici di alta professionalità, mi sono dedicata al bucato, attività che abitualmente condivido con la mia lavatrice, ma che richiede comunque un'accurata cernita dei panni per creare, dall'informe massa di biancheria sporca ospitata in un cestone, dei mucchietti omogenei in base al tessuto, tipologia e/o colore della stoffa da destinare al lavaggio automatico.

E se gli elettrodomestici hanno liberato le donne dalla schiavitù della casa, regalando loro tante ore libere, alcune donne non sanno che farsene e ogni tanto anelano a sciabordare come lavandaie professioniste sull'argine del fiume. Quel pomeriggio di settembre io appartenevo alla seconda categoria e ho pretrattato compulsivamente con  sapone di marsiglia colli, colletti, polsini, pattine, orli, fodere e cerniere interni e esterni, di dritto e di rovescio, macchie visibili e invisibili.

Ma nel rialzarmi ho potuto apprezzare l'insostituibile dono del progettista di lavatrici, al quale comunque suggerisco di aggiungere due braccini retrattili per caricare autonomamente la biancheria, e mentre tentavo di riconquistare la stazione eretta, la mia schiena ha subito un'interruzione di manovra segnalata da un dolore pari alla bastonata assestata dalla Cosa dei Fantastici quattro.

Dopo il primo soccorso, prestato da un'amica medico invocata via telefono prima di schiantarmi sul letto, e la cura di cortisone, protratta per diversi giorni che mi ha permesso di ritornare a lavorare tra le categorie protette, siamo arrivati all'indagine diagnostica.

"Non ti preoccupare Cassandra, ti faccio la richiesta io così tu non impazzisci, e passi dal mio reparto"

Anche provata dal dolore cerco di opporre una qualche resistenza a questa corsia preferenziale che stigmatizzo nell'utente; ma di fronte alla sua insistenza: "Ma che sei scema, non lo vedi come sei ridotta!" e la garanzia di partecipare alla quota di spesa sanitaria, meglio conosciuta come pagamento del ticket cedo e ringrazio, confermando la tesi secondo la quale "l'occasione fa l'uomo ladro".

Così oggi pomeriggio passo dal reparto e mi dirigo verso la risonanza magnetica, pronta ad entrare in un tubo calamitato con una potenza in grado di staccarti la protesi dell'anca non ancora calcificata.

E siccome la mia amica doveva fare una consulenza in un altro reparto, io me ne sono andata tranquilla, tranquilla verso il servizio di radiologia diagnostica, certa che la segnaletica potesse farmi da guida.

Ma Utor tendeva il suo tranello. E io, impegnativa del medico in una mano e precedente referto nell'altra, ispezionavo i sotterranei dell'ospedale.

Ad ogni cartello alzavo gli occhi e cercavo il nome del servizio, lo trovavo, seguivo la direzione della freccia, calpestavo il percorso tracciato dalla linea blu e mi ritrovavo al punto di partenza.

Così ho ceduto e imbattutami in un camice bianco proveniente dal senso opposto, ho assunto l'espressione dell'utente medio e l'ho importunato.

L'uomo ha scossa la testa, ha guardato l'impegnativa e mi ha indicato la strada.

Arrivata a destinazione ho preso il biglietto segnacoda,  mi sono seduta e ho aspettato in una sala vuota. Trascorsi 20 minuti senza alcuna presanza umana dietro il vetro, visto che tra una cosa e l'altra iniziavo ad accumulare ritardo, ho bussato a una porta di un ufficio con su scritto "Accettazione".

Ne esce una segretaria indispettita che dopo aver guardato l'impegnativa, bonfonchiato qualcosa contro le richieste interne, controllato l'orologio, attestato che ero in ritardo, verificato che non avrei più potuto pagare il ticket perche ormai gli uffici erano tutti chiusi, recitato una ramanzina contro i pazienti indolenti, di fronte alle mie scuse, con sussiego mi  ha spedito dentro il tubo magnetico in men che non si dica, minacciando tuttavia di spedirmi il  cobrador del frac se non avessi pagato il ticket al ritiro degli esami.

domenica 7 ottobre 2012

Leggins in ecopelle e lo specchio impietoso

Nonostante l'età, non proprio da ninfa, e la zazzera da lesbica berlinese, non ho resistito al richiamo dei pantaloni in ecopelle molto di moda negli settanta quando ero un'adolescente che ascoltava i Sex Pistols.

Per dirla tutta, da vera peccatrice seriale, ne avevo già un paio che a però sono arrivati al capolinea.  Certo quest'anno la moda mi aiuta, perché grandi magazzini e catene di abbigliamento trendy propongono il latex nero, senza dover necessariamente visitare siti per sporcaccioni per poterli acquistare. E persino alcune linee per audaci cicciottelle fashion victim propongono il nero lucido al posto degli stravisti  jeans.

Già, ma si tratta di leggins, che ai miei tempi si chamavano fuseaux, un indumento che a rigor di buon gusto possono permettersi, ad essere generosi, Naomi Campbell, Nicole Kidman o  Sarah Jessica Parker. Per tutte le altre esame dello specchio senza attenuanti.

Io invece cercavo quelli veri, un cinquetasche con taglio a sigaretta, degno di un motociclista della ex Ddr. E dopo un'estenuante ricerca mi sono ricordata di un vecchio negozio dove si rifornivano i punk di Torino. Certo adesso è tutto diverso, c'è uno sito web, ma in vetrina sono esposti gli stessi anfibi Dr Martens made in Uk.

Così sono entrata gelando la commessa che stazionava nell'antro nerissimo del negozio che non a caso si chiama Inferno.

"Lei si chiederà cosa ci fa una signora come me qua dentro?" l'ho apastrofata tanto per rompere il ghiaccio.

"No, signora, qui vengono persone di tutte le età" mi ha risposto educata e rassicurante.

Io, anziché prenderla a sberle e invitarla a frequentare un corso di tecnica di vendita di primo livello, dall'evocativo titolo "Cosa non dire mai al cliente", ho incassato il colpo e ho chiesto la merce.

E sotto i miei occhi si sono materializzati pantaloni neri lucidissimi, a vita alta, a vita bassa, con cerniere ai lati, senza cerniere, con taglio a sigaretta, anche un po' più stretti, insomma tutto quello che serve per poter sembrare appena uscita da una banda di skinhead, solo con qualche anno di più.

E la commessa mi ha fatto pure lo sconto "Per la simpatia..."

giovedì 4 ottobre 2012

21 giorni e anche un po' di più senza sigarette

L'ultima sigaretta

Ventuno giorni. Sono quelli necessari per cambiare un'abitudine.

Per me anche un po' di più,  forse, da quando ho acceso l'ultima sigaretta. Sì perché dal 20 agosto scorso io non fumo più.

La salute, prima di tutto. Ma da allora è successo di tutto.

Una tonsillite con placche e febbre mi ha prostrata per cinque giorni, solo l'antibiotico endovena di prima generazione mi ha permesso di rialzarmi dal letto.

Poi un colpo della strega mi costretto in posizione ragno ferito per quattro giorni: grazie a Dio hanno inventato il cortisone e sono riuscita ad assumere la stazione eretta e una deambulazione senza ausili ortopedici.

Nei momenti di benessere, davvero rari, la mancanza di sigarette mi regalava una fame da cavallo e la concentrazione mentale di una pulce tarantolata che mi impediva di leggere anche l'etichetta del detersivo liquido, figurarsi un post su questo blog.

E per completare la deriva salutista, vado a nuotare nell'unica piscina con l'acqua quasi calda della mia città.

Ma la pratica del nuovo sport mi ha suggerito un nuovo taglio di capelli corto corto,  che ha donato a  colleghi e amici un'espressione stupefatta,  e a me un look da lesbica berlinese degli anni '80.

La salute, prima di tutto.