Non è bastato rinunciare a ogni pretesa economica e neanche fare non uno, ma mille passi indietro. L'azienda vuole di più.
Vuole che la differenza contributiva me la carichi io.
Così hanno dichiarato qualche giorno fa in udienza, di fronte a un giudice infastidito per l'ennesimo contenzioso lavorativo che non si riferiva a una metalmeccanico licenziato in tronco.
Noi tutti in piedi, capo chino in segno di reverenziale rispetto, in dieci minuti abbiamo esternato i nostri desiderata. Soppesando le parole una per una, per non rompere una fragilissima trattativa, che chi lo fa arrabbiare perde.
Alla fine il giudice ha fissato una nuova udienza "con il legale rappresentante per firmare un accordo" alle 8.30 del mattino.
"Ma il grande capo viene da fuori città..." ha rappresentato l'avvocato della controparte. "E allora? - chiede il giudice - passa prima di qui"
Quando si dice che le parole sono pietre.
Il titolo l'ho preso in prestito dal libro di Paolo Sorrentino. "Hanno tutti ragione" è una straordinaria prova d'artista e Tony Pagoda è un personaggio a tutto tondo, degno del miglior Dostoevskij. Da non perdere.
Visualizzazione post con etichetta tribunali. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tribunali. Mostra tutti i post
venerdì 28 ottobre 2011
Seduta aggiornata
Etichette:
Del lavoro e altre storie,
tribunali
mercoledì 19 ottobre 2011
Lettera aperta al presidente del tribunale del lavoro
Gentile signor Presidente del tribunale del lavoro. Lei dovrà decidere se le mie richieste di giustizia sono legittime e se invece questa causa è figlia della presunzione di un colletto bianco, con i piedi coperti da un decoroso e inalterato stipendio.
Lo so che molti altri, e sono tanti, stanno perdendo il lavoro. So anche che chi se lo conserva lo paga con interessi da usuraio sulla propria vita e a scapito della sicurezza.
E tuttavia Le pongo una domanda: se il ministero della giustizia, al quale per fortuna Lei non risponde, la spostasse dal Suo ruolo di magistrato e la mandasse a fare il dirigente dei cancellieri, interropendole la carriera e mettendo al Suo posto un nuovo magistrato fuori ruolo al suo primo incarico, anzi dividesse la sezione in due più piccole lasciando a Lei una parte, in aggiunta alla gestione dei cancellieri e lasciando l'altra al nuovo arrivato, il tutto mantenedole inalterato lo stipendio, Lei che cosa farebbe?
Perchè questo è successo a me. Allora Lei che cosa farebbe?
Non si arrabbierebbe come una iena e non correrebbe al Csm chiedendo giustizia?
Io credo di sì.
Credo che dopo lo stupore iniziale, la sorpresa per l'accaduto, la rabbia per l'impudenza, il dolore per la situazione, lo scoramento per l'impotenza, Lei cercherebbe una via per farsi riconoscere anni di lavoro.
E' quello che sto facendo io.
Nonostante le minacce, i veleni, le calunnie e le pressioni.
Tutti mi suggeriscono di accettare questo accordo, ma io non voglio.
Lo so che molti altri, e sono tanti, stanno perdendo il lavoro. So anche che chi se lo conserva lo paga con interessi da usuraio sulla propria vita e a scapito della sicurezza.
E tuttavia Le pongo una domanda: se il ministero della giustizia, al quale per fortuna Lei non risponde, la spostasse dal Suo ruolo di magistrato e la mandasse a fare il dirigente dei cancellieri, interropendole la carriera e mettendo al Suo posto un nuovo magistrato fuori ruolo al suo primo incarico, anzi dividesse la sezione in due più piccole lasciando a Lei una parte, in aggiunta alla gestione dei cancellieri e lasciando l'altra al nuovo arrivato, il tutto mantenedole inalterato lo stipendio, Lei che cosa farebbe?
Perchè questo è successo a me. Allora Lei che cosa farebbe?
Non si arrabbierebbe come una iena e non correrebbe al Csm chiedendo giustizia?
Io credo di sì.
Credo che dopo lo stupore iniziale, la sorpresa per l'accaduto, la rabbia per l'impudenza, il dolore per la situazione, lo scoramento per l'impotenza, Lei cercherebbe una via per farsi riconoscere anni di lavoro.
E' quello che sto facendo io.
Nonostante le minacce, i veleni, le calunnie e le pressioni.
Tutti mi suggeriscono di accettare questo accordo, ma io non voglio.
Etichette:
Del lavoro e altre storie,
mobbing,
tribunali
Iscriviti a:
Post (Atom)