venerdì 31 ottobre 2014

Gtt: libertà di parola

Parlerò a ruota libera: a casa, in strada e soprattutto sull'autobus. Dalla prossima settimana cade l'ultimo dei  tabù del trasporto pubblico: "Non parlare al conducente" . Lo dice il nuovo regolamento della Gtt, il Gruppo trasporti torinesi che gestisce un discreto numero di autobus e tram in città e anche la metropolitana. Ora se si esclude la tube sabauda, unica in Italia scorrazzare senza alcun manovratore dalle fattezze umane - essa, come è noto, viene trainata grazie un sensore molto, molto, sensibile - ecco, a parte la metro, il trasporto in superficie non avrà più pace.

Importunerò con la mia operazione alla cistifellea gli autisti di autobus nell'ora di punta, molesterò  i manovratori di tram con mille pretesti, diventerò l'incubo del cambio turno e non risparmierò neanche un capolinea, ma scaricherò senza limitazione alcuna una sventagliata di parole alla volta su autisti inermi che incontrerò sul mio percorso.
Finalmente posso parlare al conducente senza che il mio altissimo senso civico debba subire un'immediata retrocessione a cittadino maleducato. Questa volta ho la norma dalla mia parte, anzi, il nuovo regolamento mi esorta addirittura a rivolgermi con fiducia al conducente per chiedere informazioni di ogni tipo ma anche se vedo qualche passeggero contorcersi come un verme in preda agli spasmi (malore) oppure intravedo la mano lesta di un borseggiatore che fruga nella borsa della pensionata il primo del mese (borseggio). Nulla ci dicono in caso di mano morta, attività molto praticata sui mezzi pubblici nell'ora di punta, ma credo che sia una fattispecie assimilabile alle altre.

E arrivato il momento della riscossa. Basta con cartelli intimidatori del tipo "Vietato parlare al conducente", non so se siano rimasti gli altri tipo "Si ricorda che la bestemmia è reato" oppure "Vietato sputare" pratica evidentemente diffusa. Oggi con il conducente si può parlare. Eccome. e Gtt celebra l'articolo 21 della Costituzione.
Almeno qualcuno se la ricorda. 

domenica 5 ottobre 2014

Badante per un giorno.














Il mio uomo, anche se in stato confusionale al pronto soccorso, ha lanciato un solo appello: "Ti prego, non voglio un uomo!" 


Allora io, anziché finirlo con una pistola come avrebbe meritato per l'ennesima emergenza in cui mi aveva cacciato, mi sono rallegrata per il virile pensiero sussurrato con una tale discrezione che non potevo non accontentarlo, così con amorevole condiscendenza l'ho rassicurato: "Tranquillo amore, ti trovo una russa giovane ed eterea che non avrai più voglia di alzarti dal letto". E mi sono messa alla ricerca.

Certo lui sognava una escort da mille euro a notte, ma ,con il  budget a disposizione, la bionda Irina non mi mandava manco un promo sul telefonino; potevo giusto giusto  ripiegare su una mignottona da tangenziale, ma temevo che i costi di trasferta superassero di gran lunga quelli della prestazione, per altro di pochi minuti e con risultati incerti data la situazione sanitaria del paziente. 

Perciò ragionevolmente mi sono orientata verso una cooperativa sociale che mi sembrava più accreditata nella selezione del personale. Sempre di extracomunitarie si tratta. O no?  Sì. 

"Bene, signora, bene. Io trovare badante per notte, signora, molto brava donna per marito, signora, non preoccupare, signora. Stasera alle nove, donna lei chiama cinque minuti prima di entrare". E signora un po' meno preoccupata. 

Alle 20.55, stremata da una giornata in pronto all'insegna del circo barnum, con il mio uomo ancora in stato confusionale, io in carenza di cibo, sigarette e doccia, e meno male che sono astemia, friggo come una sarda in pastella in attesa della badante.  Improvvisamente mi scopro renziana e maledico l'articolo 18, che non c'entra niente, ma con qualcuno dovrò pur prendermela, e firmo on line una proposta per l'abolizione del reato di "riduzione in schiavitù". 

Alle 21.00 ho gli stessi pensieri foschi di cinque minuti prima  con l'aggiunta delle lesioni personali e della denuncia al datore di lavoro, ma la mia anima comunista fa capolino ricordandomi i tempi di "Potere operaio". Abbasso la testa mortificata per i brutti pensieri. Intanto si aggiunge il bisogno fisiologico. 

Alle 21.05 sono nella stessa situazione del paragrafo precedente, bisogno fisiologico insoddisfatto incluso, e mi traballano le tegoline a ritmo di heavy metal mentre vaticino gli ultimi giorni dell'umanità, quando finalmente arriva la telefonata di Diana - mai genitori sbagliarono così tanto nell'assegnare un nome a una creatura -  che trilla "Signora, io in pronto soccorso qui dove tu sei".

Depongo le armi e assegno le coordinate vocali della nostra barella in pronto "dietro la porta a vetri - aggiungo - la vedeeeee?" 

"Si, io vede signora, arrivo"

Alle 21.20 non mi spiego il vanishing  della badante.

Alle 21.25 permangono le precedenti condizioni, ma sono molto, molto più incazzata e la chiamo al telefono. 

"Scusa, signora, io capito ospedale Mauriziano, ma andata a Molinette e cercato lei signora, ma non trovata. Io adesso vengo a Mauriziano".

"?!!!!!

Alle 21.30 mi sono consustanziata in una sacerdotessa zen. Il mio corpo trasfigurato emana luce alla minuscola platea della "Medicina 1": i pazienti guariscono in massa, i parenti mi si inginocchiano davanti riconoscenti, tutti gridano al miracolo, solo il mio uomo, ancora in stato confusionale continua a chiedere quando arriva la bionda Irina -  non ho avuto cuore di confessargli la verità - che mi si para davanti una donnetta piccola e tarchiatella che in confronto io sembro Carla Bruni.

Così mi strappo gli abiti zen, mi rimetto quelli della strega e impartisco gli ordini, ma prima rivolgo un'occhiata maligna e soddisfatta al mio uomo piegato dalla delusione, e parto con la reprimenda sul ritardo e successive raccomandazioni:  "Non lo perda di vista neanche un secondo" intimo autorevole. 

Lascio entrambi al pronto soccorso e vado a casa a prendere quattro stracci e il nécessaire per il ricovero. 

Al mio ritorno in pronto soccorso, e sono già le passate le 11, trovo il mio uomo in piedi che vagola con andatura barcollante intorno alla barella con la flebo in una mano e la sigaretta spenta nell'altra, la seggiola della badante vuota e un vociare convulso del personale paramedico che si sbatte lungo il corridoio. 

Saetto fuoco e fiamme da sciogliere entrambi i poli  per ben cinque minuti e cerco la badante che si presenta tranquilla al mio cospetto "signora io qui, no andata via".

"Scusi, le avevo detto di non perderlo di vista, perché lo ha lasciato solo?" chiedo inquisitoria.

"Signora, marito non dorme, lui vuole fumare e non so che fare!" mi risponde serafica. 

Mi sovviene che il "reato di lesioni personali" è punibile con la reclusione fino a due anni e  mi trattengo, somministro invece a un ammonimento secco alla badante e me ne torno a casa. 

Questa mattina al mio ritorno alle 7.30 non senza averle fatto recuperare il ritardo, le pago la cifra concordata. 

Lei guarda gli 80 euro schifata poi alza verso di me con aria interrogativa. Forse la signora dopo quest'impeccabile servizio si aspettava una mancia, oltre la cifra pattuita con l'agenzia. Qualcuno le ricordi  che ha già portato a casa la pelle: e questa è una vittoria dopo la nottata di emme che mi ha fatto passare. 

Mentre lui sembra decisamente migliorato e chiede con insistenza quando può tornare a casa. 
Non è che forse meritava una mancia?