lunedì 28 febbraio 2011

Delle clips e di altri espedienti

Otto ore e mezzo regalate a una fila di scrivanie: di fronte a me il protocollo e l’ufficio appalti alle mie spalle. Nel chiacchiericcio generale e i bip bip dei messaggini ho trascorso la mia giornata.

Per darmi un obiettivo ho stampato in Verdana, corpo 22, le etichette dei faldoni, poi ho ripiegato con cura 46 cartelline Ercole, quelle di nylon con i buchi laterali recuperate dal trasloco. Non soddisfatta, ho staccato dalla calamita tutte le clips e le ho divise per dimensione, tre formati, avendo cura di buttare via quelle affette da ruggine.  Dopo ho eliminato anche quelle ossidate e, per mantenere alti gli standard lavorativi, ho lucidato le clips superstiti.

Anche lo strofinaccio mi è venuto in aiuto, così in competizione con l’addetto alle pulizie, ho spolverato un armadio vinto dopo una lunga discussione e la consueta minaccia di una causa di lavoro.  È un po’ lontano dalla mia scrivania, ma posso accontentarmi.

Per finire ho riletto e catalogato le e mail da gennaio 2005 a febbraio 2006 e le ho archiviate in cartelle dedicate, scoprendo un’intensa corrispondenza con giornalisti e istituzioni.

Di tanto in tanto alzavo la testa alla ricerca dell'orologio a muro del mio vecchio ufficio, ma nel grande salone non c'è spazio per simili orpelli.

mercoledì 23 febbraio 2011

Dialoghi della vescica


Un litro di acqua in poche ore. Ma qualche bicchiere in più non guasta. La prescrizone è chiara e insidacabile e l'utente femmina, cultura universitaria e malattia in agguato, è pronta per l'ecografia addome superiore e addome inferiore.
L'appuntamento è per le 11 del mattino in una clinica della galassia sanitaria piemontese, uno di quei gioiellini cosmetizzati che hanno avuto l'accreditamento dalla sanità pubblica. In sintesi: efficienza svizzera a nordovest delle penisola.
La povera utente, caricata la vescica, si dirige a passi lenti per evitare sollecitazioni fino alla porta dell'ambulatorio. Si è tarata per resistere fino alle 11 e mezzo, oltre non risponde sulla continenza dell'organo.

Sulle sedie allineate si sono accomodati un aziano accompagnato dalla moglie, che, temendo una seconda corvè lo invita a bere in continuazione, e un ragazzo sotto tutela di un accompagnatore che gli impartisce precetti di buona educazione. Non appena l'educatore si allontana il ragazzo si inginocchia davanti alla sedia e confessa mentalmente peccati mai commessi.
L'utente femmina si informa sulla sequenza e scopre con piacere di dover passare dopo l'uomo ostaggio della moglie, ma soprattutto prima dell'aspirante seminarista.

A interrompere la conversazione tra coniugi  ci pensa l'infermiera che chiama dentro l'anziano, la moglie tira un sospiro di sollievo e spera che il pedagogico accompagnamento abbia dato i suoi frutti e la colecisti del marito si visibile al primo ultrasuono.
L'utente femmina contrae i muscoli e guarda con sospetto il ragazzo ancora inginocchiato davanti alla sedia.
L'attesa, in queste condizioni, rende tutti avversari.

Quando la porta si apre, esce l'anziano che, senza salutare, si dirige veloce verso il bagno, la moglie lo segue, l'utente femmina sta per alzarsi, ma il ragazzo mostra riflessi straordinari nonostante i negativi effetti dei farmaci neurolettici e con una sola falcata si infila nell'ambulatorio.

Allora l'utente femmina ha un moto di orgoglio e, messa da parte  la solidarietà per gli ultimi, incattivita dal bisogno fisiologico e senza neanche bussare, entra nello studio medico reclamando la precedenza.

Il corpo vestito con camice bianco, infastidito dalla piazzata, la redarguisce per i modi poco urbani, ma l'utente femmina non si lascia intimidire e replica con fermezza alle obiezioni del medico.

Il breve certamen decreta la vincitrice che si accomoda sul lettino per l'ecografia. E l'educatore, indovinato l'alterco, ha ricondotto alla giusta sequenza il giovane con ambizioni da seminarista.

Arriva la fine anche per l'utente femmina che già pregusta il rilascio della muscolatura striata che preserva l'ampolla urinaria. Ma di fronte alla porta del bagno almeno otto persone attendono il turno con uguale impazienza.

Il tempo è poco e il bisogno urge. Dopo lo smarrimento iniziale, l'utente femmina  medita, cogita e delibera:  cerca un altro bagno. Perciò torna alla recpetion dove urpiste in divisa capiscono impellenza e la dirottano al bagno di riserva.

A questo punto l'utene femmina se ne fotte della segnaletica orizzontale, dell'assenza del cartello uomo/donna/handicappato - per lei quel bagno potrebbe essere riservato agli elefanti - entra nello stanzino e cerca di attivare la funzione "rilascio".

Sarà stata la tensione della mattinata o l'aspirante seminarista poco ecumenico che le ha lanciato una maledizione, ma i risultati tardano a manifestarsi.

E' un dialogo interiore delle grandi occasioni quello che si consuma con la vescica nel bagno di servizio tra preghiere, rinvendicazioni e promesse. Poi finalmente si manifesta l'epifenomeno grazie a un'asana venuta in aiuto da un vecchio corso di yoga.
Benedetta circoscrizione.

domenica 20 febbraio 2011

Prima della fine

E' il mattino il momento più difficile. Il quarto d'ora tra il termine della doccia e la porta di casa. Piegata sul lavandino del bagno, io piango.
Piango e temo di non farcela ad uscire, ad affrontare la giornata, ad entrare in ufficio, salutare i colleghi, fumare sulle scale, partecipare alle riunioni, mangiare in mensa.

Prima no. Quando mi alzo guardo fuori e vedo le gemme sull'ortensia, il limone avvolto nel velo bianco, il tavolo verde e le sedie sul terrazzo, sto bene.
Preparo il caffè, aggiungo il latte e lo zucchero - il pane tostato nel caffelatte mi rinfranca - ascolto le notizie alla radio e tutto sembra ordinario. Una giornata come tante.

Però mi appoggio al termosifone caldo e mi fermo. Fotografo il benessere nel silenzio di casa mia. Sono in pace. Starei in piedi al caldo per tutto il giorno, ma non posso.

Devo guadagnare il bagno.
Devo lavarmi.
Devo rendermi presentabile.
Devo uscire di casa.

Devo andare a lavorare.

Ho ancora paura. Paura di arrivare davanti al palazzo e piangere. Paura incontrare un collega che a voce bassa, gurdandosi intorno con aria sospetta, mi chiede cosa stia succedendo.

Non saprei rispondere. E'  un assedio silenzioso vestito di gentilezza. E ogni dialogo è un'accusa di cospirazione.

Non so di chi fidarmi.

Ma devo andare avanti. Come una moglie tradita continuo a portare a scuola i bambini e preparare la cena. Anche il sorriso sembra spontaneo. Non un atteggiamento che tradisca il mio dolore.

E anche la sera mi sorprende indifesa, a temere il giorno che arriva.

sabato 19 febbraio 2011

Ho aperto gli occhi a mezzanotte

Ho aperto gli  occhi appena dopo mezzanotte. Il malessere si insinuato nel mio stomaco, un'occupazione forzosa e senza e senza ostacoli.

Cuore: smetti di battere così forte, perchè non ce la faccio a reggere.

Mi sono alzata dal letto e ho acceso il computer. Ho cercato sulla rete qualcosa che potesse aiutarmi, ma non mi riconosco in alcuna categoria sociologia. Non è mobbing, nè deprofessionalizzazione o demansionamento.
A me sembra ingiustizia e non so darmi pace.

giovedì 17 febbraio 2011

Tutti abbonati

Rientro da un viaggio di lavoro in tarda serata. Dalla stazione prendo l'autobus che mi riporta casa. Poche fermate per osservare la fauna che frequenta i mezzi pubblici a Torino: in tutto un decina di persone di varie nazionalità, Italia inclusa.
Poggio la valigia e tento di annullare il biglietto. La macchinetta timbra le 23.43
Ma come? Sono le 22.15

Colta da un attacco di cittadinanza attiva avverto l'autista.

"Scusi, la macchinetta è avanti"
"Lei guadagna più di un'ora" obietta lui.

Piccata, insisto. Sono un cittadino modello e voglio partecipare al miglioramento dei servizi pubblici.

"Certo, ma volevo avvisarLa lo stesso"

L'autista sorride e commenta: "Ho preso questa vettura alle 18 e nessuno se ne accorto,  avranno tutti l'abbonamento" è la sua considerazine mentre dà un'occhiata allo specchietto retrovisore.

"Certo avranno tutti l'abbonamento" confermo indispettita.