venerdì 28 ottobre 2011

Seduta aggiornata

Non è bastato rinunciare a ogni pretesa economica e neanche fare non uno, ma mille passi indietro. L'azienda vuole di più.
Vuole che la differenza contributiva me la carichi io.

Così hanno dichiarato qualche giorno fa in udienza, di fronte a un giudice infastidito per l'ennesimo contenzioso lavorativo che non si riferiva a una metalmeccanico licenziato in tronco.

Noi tutti in piedi, capo chino in segno di reverenziale rispetto, in dieci minuti abbiamo esternato i nostri desiderata. Soppesando le parole una per una, per non rompere una fragilissima trattativa, che chi lo fa arrabbiare perde.

Alla fine il giudice ha fissato una nuova udienza "con il legale rappresentante per firmare un accordo" alle 8.30 del mattino.

"Ma il grande capo viene da fuori città..." ha rappresentato l'avvocato della controparte.  "E allora? - chiede il giudice - passa prima di qui"

Quando si dice che le parole sono pietre.

giovedì 27 ottobre 2011

In Europa tutto bene, la borsa vola e gli sfratti pure

Pantaloni di flanella strausati, maglia a coste che fa capolino dal giaccone grigio petrolio, capelli scuri e arruffati. Entra nel salone con passo incerto, si ferma a due metri dalla porta di ingresso e inzia a cercare con lo sguardo un'anima buona contro cui tracimare le pletora di domande.

Dietro il vetro le urpiste si stanno preparando all'esondazione verbale. Il loro ottimismo verrà punito i meno di un secondo.

L'uomo raggiunge l'Urp e mostra il precetto di sgombero dal suo alloggio. Vuole una casa. 

Le Urpiste si tarantolano sui loro trespoli.
L'uomo chiede come fare.

L'urpista diligente si impegna in una didascalica spiegazione sulle assegnazioni e i contributi all'affitto e altre misure irraggiungibili per chi ha già superato la boa dell'ufficiale giudiziario.
L'uomo digrigna i denti e ripete daccapo: mi hanno sfrattato, voglio una casa.
L'urpista diligente ammette il porprio fallimento professionale.

L'urpista ortodossa invece lo esorta a rivolgersi a un avvocato.
L'uomo frena un moto di stizza e le ricorda di non avere più soldi visto che mangia alla mensa dei poveri.
L'Urpista ortodossa si alza piccata e spruzza spry antibatterico in ufficio.

L'urpista empatica, testimone consapevole della frustrazine delle colleghe, dopo essersi asciugata la lacrime, chiama al telefono la Dama di Carità dei contributi, che, vestita di Armani e un velo di fondotinta tono su tono, prende atto della situazione e conferma di non poter fare niente, ma garantisce l'intervento dell'assistente sociale.

L'uomo si ritrova al via senza aver risolto niente e pure in ritardo per il pranzo alla mensa dei reietti, con il precetto in mano.

mercoledì 19 ottobre 2011

Lettera aperta al presidente del tribunale del lavoro

Gentile signor Presidente del tribunale del lavoro. Lei dovrà decidere se le mie richieste di giustizia sono legittime e se invece questa causa è figlia della presunzione di un colletto bianco, con i piedi coperti da un decoroso e inalterato stipendio.

Lo so che molti altri, e sono tanti, stanno perdendo il lavoro. So anche che chi se lo conserva lo paga  con interessi da usuraio sulla propria vita e a scapito della sicurezza.

E tuttavia Le pongo una domanda: se il ministero della giustizia, al quale per fortuna Lei non risponde, la spostasse dal Suo ruolo di magistrato e la mandasse a fare il dirigente dei cancellieri, interropendole la carriera e mettendo al Suo posto un nuovo magistrato fuori ruolo al suo primo incarico, anzi dividesse la sezione in due più piccole lasciando a Lei una parte, in aggiunta alla gestione dei cancellieri e lasciando l'altra al nuovo arrivato, il tutto mantenedole inalterato lo stipendio, Lei che cosa farebbe?

Perchè questo è successo a me. Allora Lei che cosa farebbe?
Non si arrabbierebbe come una iena e non correrebbe  al Csm chiedendo giustizia?
Io credo di sì.

Credo che dopo lo stupore iniziale, la sorpresa per l'accaduto,  la rabbia per l'impudenza, il dolore per la situazione, lo scoramento per l'impotenza, Lei cercherebbe una via per farsi riconoscere anni di lavoro.
E' quello che sto facendo io.
Nonostante le minacce, i veleni, le calunnie e le pressioni.

Tutti mi suggeriscono di accettare questo accordo, ma io non voglio.

martedì 18 ottobre 2011

Censimento 2011: W Lavoisier

Provocatoriamente ho compilato il censimento in ufficio durante l'orario di servizio. Non proprio lunedì, dopo gli assalti e le polemiche, ho preferito concedere un giorno di tregua ai sistemisti dell'Istat.

Così martedì  mi sono messa di buzzo buono e alle 11 e quaranta sono partita con la scheda. Venti minuti serratissimi di botta e risposta con le pagine web, fino all'ultima domandina.

Poi l'annuncio: "Grazie per aver risposto, stampa la ricevuta"

Sic, è inziata una lunga attesa con un mappamondo bidimensionale che girava come un pazzo. Ho visto l'America, il Canada, la Nuova Zelanda e poi l'Asia, l'India, l'Africa e l'Europa tutta, dalla Siberia a Saint Michel, ma della mia ricevuta manco l'ombra.
Ancora un paio di rotazionu sull'asse terrestre prima di rinunciare, poi anche i dispetti hanno una fine. E ho ripreso le consuete occupazioni.
Ma a una settimana di distanza sono tornata sul luogo del delitto pronta a ripetere l'esperienza.

Ebbene sì. Anche all'Istat nulla si crea e nulla si distrugge, perciò non appena inseriti i miei dati il programma mi smaschera e mi ricorda che ho già partecipato alla grande indagine e finalmente scarico scheda e ricevuta.

Perciò tutti quelli che hanno vissuto il brivido dell'attesa davanti allo schermo stiano tranquilli. La ricevuta c'è. Basta aspettare.

P.S. Per chi desidera qualche commento, visiti il blog di Shunrei Gite Mentali

mercoledì 12 ottobre 2011

Addetti stampa nella Pa: perchè non voglio firmare questo accordo

E' una questione privata. Ma anche pubblica. O meglio. Investe il lavoro nel pubblico impiego con tutti i distinguo del caso. Ma se accetto, passerà il principio che ad ogni tornata elettorale si può giocare a risiko con l'organigramma aziendale.

Il fatto
Sono giornalista. Professionista. Cioè ho dato l'esame di Stato a Roma molti anni fa. Lo ero prima che mmi assumessero in questo ente. Ho scritto per testate locali e nazionali. Nessuno si è mai lamentato.

Quando sono arrivata in ****  il posto era libero da un anno. Non c'era un addetto stampa e ho creato un ufficio dal niente, rendendolo credibile all'esterno, creando una rete di rapporti  con i giornalisti, regalando visibilità a questo ente. Nessuno ha mai contestato questa attività.

In dieci anni mi sono stati aggiunti nuovi incarichi, sempre legati alla comunicazione istituzionale, senza alcun aumento di stipendio. Anche in questo caso nessuno si è mai lamentato. Anzi.

Ma con la nomina del nuovo consiglio di amministrazione, dopo le elezioni regionali del 2010, sono stata spostata d'ufficio a fare un lavoro amministrativo e al mio posto è stato assunto un collega con contratto a termine. Stavolta mi sono lamentata io.
Così ho incaricato un avvvocato e siamo approdati dal giudice del lavoro.

La richiesta è molto semplice: sono stata assunta come giornalista, adesso vengo spostata a fare l'impiegata e qualcuno altro viene chiamato da fuori per fare lo stesso lavoro che facevo io. Tutto questo è corretto?

Se a subire lo stesso lo stesso trattamento fosse stato un farmacista, un  architetto, un avvocato o  un  ingegnere ci sarebbe stata la stessa condiscendenza? Perchè invece il giornalista sì, lo si può mettere a gestire l'archivio e gli uscieri, cambiandogli la cassa pensione, e dovrebbe essere contento?

Perchè nell'opinione comune chi fa l'addetto stampa di un ente pubblico non è una categoria come le altre, ma una persona cooptata dal politico di turno, sulla basi di simpatie o di tessere di partito.
Invece no. Lo ha confermato anche una legge, la 150 del 2000 che non può essere disattesa.

E allora l'accordo transattivo non posso accettarlo.

L'accordo transattivo
Io rinuncio ad ogni pretesa sulla qualifica da addetto stampa, mi tengo tutto il lavoro amministrativo in più e, visto che c'è una causa in corso, si farà un giornalino sul quale scriverò qualche articolo. In cambio i miei contributi torneranno alla cassa pensione giornalisti.

Ah dimenticavo. Se faccio la brava mi lasciano nell'angolino. Ma questo non è scritto.