lunedì 13 febbraio 2012

Gelo sull'Italia: la Svezia ci invidia.

Se le immagini che ho visto  in tivù non sono opera di un impostore amatariale, in questo pazzo, pazzo mondo tutto può succedere. Anche che si scii sulla spiaggia. Naturalemente fondo. Si perchè nella piana del mare romagnolo sono arrivati i maestri di Cortina, sci ai piedi e bastoncini lunghi,  per insegnare ai romagnoli a pattianare  leggeri sul bagnasciuga.
Una nuova forma di immigrazione per conquistare nuovi mercati. D'altronde a Rimini chi non ha un paio sci da fondo nell'armadio e non vede l'ora di tirarli fuori, passarli con la sciolina di scorrimento, indossare tutina e scarpette a tallone libero, seguire un corso di sci nordico con tecnica  alternata e,  perchè no, esercitarsi anche un po'  nel tiro a segno. Un po' biathlon non ha mai fatto male a nessuno.

Così mentre da Piacenza in giù la neve ha sommerso un bel pezzo di penisola e ci si prepara per le olimpiadi invernali del 2014, le Alpi sono pelate come un nevembre di media stagione.
Oggi ad Aosta il termometro segnava meno sei, ma di neve nenche l'ombra. A guardare in alto si vedevano solo cime appena spruzzate di bianco e puntoni di roccia viva facevano bella mostra di sè a 3mila metri.

Così dopo aver assistito all'esibizione di pattinaggio artistico di mia nipote non mi è rimasto altro che infilarmi in un bar a succhiare una cioccolata calda.

domenica 5 febbraio 2012

Torino come Cortina

Lo sa solo Dio perchè mi è venuto in mente di uscire questa mattina con temperatura a meno 10,  ma è successo. Così intarabarrata nel piumino no logo, ai piedi scarponi da montagna dotati di rompighiaccio, cappello di lana calato sulla testa con scarpa e guanti a corredo, sono andata a comprare il giornale:  "La Stampa" o "La Busiarda, come gli oppositori chiamavano una volta il quotidiano di Torino che noi leggiamo prima di tutto per i necrologi, un'abitudine che non ho mai incontrato in nessun altro paese.

Ecco, tra le consuetudini dei torinesi, appunto i necrologi sulla Stampa per non perdere neanche un funerale, lo stile sottotono per non urtare, la cena alle sette con caffelatte e l'imperativo categorico di non ostentare, atteggiamento che ci ha reso imperscrutabili a chi viene da fuori, mi ha colpito questa mattina vedere tante pellicce addosso alle signore che andavano a messa.

Sembrava di stare a Cortina o in uno di quei paesi della Bassa, benestanti ma un po' provinciali dove la domenca assisti all'esibizione di benessere preservato per lo struscio sul corso principale.

La mia città no. Ma neanche più la Crocetta è quella di una volta. Il quartiere delle dame di carità, impegnate ad aiutare i poveri, vestitite rigorosamente di bleu, grigio o crème, con la è alla francese, un colore tra il giallo e il bianco che sbatterebbe anche Naomi Campbell, capelli media lunghezza o corti con qualche filo d'argento e mai tinti - è così volgare la tinta -  e cerchietto in testa, mocassini mezzo tacco e sempre pronte al servizio in ospedale. Ecco, dove sono andate a finire queste signore?

Io questa mattina ho incontrate sciure coperte di visoni, colbacco di volpe, occhiali da sole, borsa di Gucci e stivali in camosco Mtb marron, al braccio di omaccioni con cappotto di cashmere e sciarpa pigramente annodata che non ripara neanche da un alito di vento. Ma che sta succedendo a Torino?

giovedì 2 febbraio 2012

Posto fisso addio? Urpista diligente offresi.

Dopo anni precariato passati all'Urp il suo contratto è scaduto. L'Urpista diligente da oggi ha fatto il suo ingresso nel mondo dei disoccupati.  E il concorso bandito per assumere una persona,  con la speranza che potesse vincerlo, è stato bloccato.
Dura lex, sed lex, ci hanno risposto. Giusto.
Tuttavia mi sorge un dubbio. Qualche anno fa c'è stato un bando per la ricerca di un dirigente. Convocata la commissione, tutti di grandi professori, è stato esaminato un unico candidato in possesso di requisiti molto diversi da quelli richiesta dal bando.  Questa la motivazione dell'assunzione.
La Commissione ha preliminarmente appurato che il soggetto non presenta i requisiti per essere ammesso alla procedura di mobilità poiché non in possesso allo scadere del bando dello status di dipendente di una Pubblica Amministrazione, presupposto essenziale per l’instaurarsi del procedimento di trasferimento diretto da una P.A.
Si dà atto che il dott. Rossi (nome di fantasia, ma tutto il resto è vero n.d.r.) ha comunque maturato i 5 anni richiesti nella qualifica dirigenziale. La Commissione ha inoltre analizzato il curriculum del dott.  Rossi allegato alla domanda dal quale emerge che l’interessato, contrariamente a quanto dichiarato nella domanda medesima, non ha buona conoscenza della pianificazione, organizzazione ed implementazione dei sistemi di qualità.
Il dott. Rossi è laureato in lettere, anziché in Economia e commercio, ma  ha partecipato a corsi di formazione manageriale per dirigenti.
Dal colloquio è emersa una sufficiente conoscenza dei modelli di controllo di gestione e della programmazione, pianificazione e organizzazione del lavoro.
Per quanto attiene la conoscenza informatica e telematica, questa è apparsa non specialistica, ma buona in termini di utenza.
Infine non è stata verificata la conoscenza della lingua inglese (dichiarata ottima dal candidato che presenta la lingua francese come seconda lingua madre).
Concludendo a giudizio della Commissione nella composizione riportata in apertura, il soggetto pur non presentando i requisiti richiesti per il trasferimento in mobilità, presenta per altro talune qualità che lasciano trasparire buone potenzialità di crescita professionale.

Perciò il dottor Rossi è stato preso con una collabarazione coordinata e continuativa, poi è diventato dirigente e infine direttore.

Ai posteri l'ardua sentenza.

martedì 31 gennaio 2012

Neve e bellerine

foto scaricata da You Reporter


La neve, a lungo invocata, finalmente è arrivata. Non oggi. Già domenica scorsa ha imbiancato tutta la città, ma io, reduce da un intervento al dente, non ho potuto godermela come avrebbe meritato. 
Invece oggi sì. Eccome.

Infatti se lunedì sono andata a lavorare con gli scarponi da montagna e le suole rompighiaccio, abbigliamento assolutamente esagerato per la proverbiale efficienza subalpina che ha liberato le strade in una sola notte, oggi ho sfidato la sorte.

Messo il naso fuori per testare la temperatura - decisamente gradevole - osservato dal terrazzo, quello sì con trenta centimetri di neve, strade sgombre, mi sono vestita da donna e ho inforcato la bici per andare a lavorare.  
A parte qualche ammasso di neve sporca negli angoli dei marciapiedi e il colore spettrale dei tetti  ancora coperti di bianco, nessun intoppo sul percorso. Così, certa di fornire il più elevato contributo alla salvaguardia dell'ambiente, e in competizione con i paesi nordici che usano la bici anche in autostrada, sono arrivata in ufficio.

Grandi sguardi di ammirazione dei colleghi hanno salutato il deposito del mezzo. Tra commenti di approvazione e qualche "oooh" di stupore, quello delle solite colleghe che si fanno accompagnare dal marito anche per comprare il sale, ho fatto il mio ingresso.

Per tutta la giornata non si è parlato d'altro che dell'intrepida e valorosa scelta di usare la bici.  Ma non sono mancati i commenti malevoli e qualche sorrisetto, che che compariva sulla faccia di qualcuno. Li ho ignorati, sempre gonfia di orgoglio. E poi qualche battuta sull'abbigliamento: "Certo che tu, con sto tempo da lupi, vieni a lavorare con quelle scarpette..."

Certo, quando all'ora di pranzo la temperatura è scesa di 10 gradi mi sono un po' infastidita, ma niente di più. Ho sopportato condizioni peggiori.  Un po' di gelo non mi spaventa.

Poi quache gocciolina ha bagnato il selciato. Ho guardato distrattamente le strade ancora chiusa nella granitica certezza che non si sarebbe depositata. Ma in pochi minuti le gocce si sono trasformante in fiocchi leggeri che danzavano nell'aria e l'ammirazione dei colleghi in trionfo.
Alle cinque il manto stradale era coperto di 15 centimetri di neve, le aumobili viaggiavano ai 20 all'ora e gli spazzaneve hanno fatto la loro comparsa seguiti dai mezzi spargisale.  I colleghi si erano dileguati  per raggiungere la famiglia, non senza prima conquistarsi una settimana di ferie.

Io resistevo.
Alle cinque e mezzo il palazzo era vuoto, a parte gli addetti all'evacuazione e i tecnici del Comune che transennavano l'edificio dal quale cadevano lastroni di neve grandi quanto l'intera Siberia.

Un collega superstite mi ha suggerito di lasciare la bici in garage e tornare a casa con lui, non ho capito se a casa sua o mi offriva solo un passaggio, ma è un dettaglio irrilevante. Comunque a scanso di equivoci ho rifiuto sdegnata entrambi. 
Sono uscita nella tormenta e ho liberato la bici dalla catena, ma non riuscivo a tirarla fuori dalla neve. Il collega impietosito, nonostante avesse appena incassato un rifiuto, con braccia forti e possenti, l'ha alzata donandomela come un fiore. Ho ringraziato con pudore e me ne sono tornata a casa a piedi, poichè in queste condizioni il rischio era troppo alto e l'azienda non avrebbe mai accolto un infortunio in itinere. E come dargli torto. Ho impegato 35 minuti a fare un tratto di strada che, a prendersela comoda, ne richiede dieci.

Sulla strada qualcuno mi ha offerto l'ombrello, inaccettabile perchè ho solo due mani, qualcuno ha espresso solidarietà,  ma a patire di più sono stati i miei piedi e soprattutto le ballerine di camoscio pronte per il cassonetto.

venerdì 27 gennaio 2012

Terremoto a Torino: la terra trema. E io pure.

Stavolta ho avuto proprio paura.  Ero a casa seduta alla mia scrivania a ripassare un po' d'inglese e la sedia ha iniziato a muoversi. Ho alzato gli occhi e persino le foglie della Schefflera, una pianta di quasi due metri che vive nel mio appartemento, muoveva le foglie variegate a garantirmi che sì, senza ombra di dubbio, c'era il terremoto. Che all'ultimo piano oscilli che è una bellezza.

E' una settimana che Torino trema. In ufficio è addirittura peggio;  perchè all'ottavo - piano io sto in alto-  trema tutto. Così l'ultima volta, ligia alle regole aziendali che vogliono un'evacuazione del personale ordinata e organizzata, non quelle fughe scomposte e urlanti che a volte vediamo in tivù, alla terza scossa, senza alcun indirizzo per la fuga, ho chiesto al collega delegato per la sicurezza cosa fare.

Lui prima mi ha guardato un po' sorpreso, poi mi ha chiesto conferma dell'incarico e di fronte all'elenco degli addetti sul quale comparava il suo nome, ha dichiarato candidamente:

"Scusa, ma il seminario sul terremoto l'ho saltato, quel giorno non c'ero".

Bene. Rinfrancata da questa resa, rassicurata dalla franchezza, ho preso borsa e sigarette e sono andata a fumare.